In questi giorni, complice anche la situazione di emergenza legata al Covid-19, si è parlato moltissimo di lavoro femminile (ci voleva una pandemia!). Le scuole sono chiuse e giustamente tutti si preoccupano delle donne, impossibilitate a tornare al lavoro. Abbiamo scritto “giustamente” non perché pensiamo che sia giusto, ma perché questa è la situazione in Italia. Se avete letto il post sullo Smart Working sapete che Microsoft ha realizzato uno spot molto carino, con immagini reali di mamme che lavorano da casa: foto boombing dei figli, urla di sottofondo per fame, sonno, voglio giocare. Bello, emozionate, ho anche sorriso. E poi però mi sono imbufalita. Perché abbiamo perso un'occasione d’oro per cambiare punto di vista.

Eh sì, la narrativa del lavoro femminile è tutta sbagliata. Una donna che lavora è, nell’ordine: un'eroina (come fa a fare tutto?), sbadata (ovvio che qualcosa dimentica!), assente (e quante cose si perde, poverina), severa (già non c’è mai, quando è a casa pure rompe). A inquadrare questa narrativa, anni e anni di spot che mostrano madri poco presenti in famiglia e che vengono per questo riprese dai figli sul luogo di lavoro (spot poi ritirato) oppure mostrano come le madri per far quadrare tutto di fatto si debbano annullare, pure a gratis. Se poi i nostri figli replicheranno tra 20 anni questi modelli educativi, come facciamo ad attribuirgli tutte le responsabilità?

Rating Promise agli spot: inqualificabile, come le gonne della Bertè a Sanremo

Il Corriere della Sera qualche settimana fa ha pubblicato un sondaggio di Ipsos sul lavoro femminile in Europa e in Italia.

Il primo dato si commenta da solo perché la domanda è sia mal posta che equivoca. Mentre che solo il 18% di donne (e anche di uomini) risponda che anche il padre è in grado di occuparsi dei figli quanto la madre, è forse più commentabile se pensiamo in quanti spot pubblicitari abbiamo visto i padri che si prendono cura dei figli? Spoiler: nessuno. E se pensiamo a quanti sono i padri che vanno agli incontri con le insegnanti? Alle riunioni scolastiche nella classe di mio figlio giù grande, il 70% dei partecipanti sono madri (stima per difetto). E i padri che ci sono, spesso vengono insieme alle madri. Ovvero ci sono anche i padri.

Ricordo che quando il mio figlio aveva pochi mesi viaggiando in aereo abbiamo avuto bisogno di cambiarlo ed è andato mio marito. Lo steward, le hostess e almeno 3 passeggeri hanno commentato più volte “che bravo papà”, con gli occhi che brillavano. Pronto? Sta cambiando un pannolino, non ci vuole un cromosoma o un patentino. È un papà che sta facendo il papà.

E vogliamo parlare della parola più senza senso in assoluto? MAMMO. Si dice P A P À. Ci sono compiti che sono concepiti ad esclusivo appannaggio materno, e se per caso se ne occupa il padre allora si usa la stessa parola ma declinata al maschile. (Piccola polemica sterile: su quanto ministra fosse cacofonico però ci hanno fatto una capa così).

Rating Promise a MAMMO: 2, ma insomma padri ribellatevi anche voi!

Vi do questa notizia in conclusione: non ci stupiamo se leggiamo risposte così. Io nell’ordine #1mi sono messa le mani nei capelli, #2avrei voluto urlare e #3ho pensato ad anni di bombardamenti mediatici che hanno riempito le donne di sensi di colpa. Nel mio caso suonano così “non passi abbastanza tempo con i tuoi figli", "la qualità però è importante: quindi se passi un'ora con tuo figlio minimo deve leggere libri in cirillico mentre compone opere d’arte”. Poi ovvio che solo il 14% delle donne intervistate risponde che si, "una madre che lavora può instaurare una relazione sicura e intensa con suo figlio quanto una madre che non lavora”.

Invece che rispondere no a questa domanda, cominciamo a costruire un nuovo quadro, in cui non siamo per forza eroine o persone manchevoli. Non siamo una casta, siamo persone, che a volte sbagliano e altre volte si muovono molto bene. Ma abbiamo la responsabilità di cambiare la narrativa su di noi e c’è molto da fare per migliorare la percezione del nostro ruolo. Oggi, per migliorare le cose domani.

Rating Promise alle mamme: 8+, cambiamo la prospettiva.