Domande e risposte a Veronique Gamard,
IBABA Co-Founder & artistic director.



D: Cosa ti ha portato in Ruanda?
R: Mio cognato è ruandese e ci sono andata per la prima volta nel 2001 per un battesimo. Ho subito adorato questo Paese, così diverso dalla versione dell'Africa da cartolina che si potrebbe immaginare. Ma all'epoca, solo sette anni dopo il genocidio, l'atmosfera era strana: ricordo ad esempio che quando le persone si presentavano, dicevano il loro nome e i nomi dei membri della famiglia che avevano perso durante il genocidio. Sono tornata poi nel 2011 per incontrare le ricamatrici del villaggio che volevano riprendere la loro attività. La mattina in cui sono arrivata, c'erano 70 donne che mi aspettavano nel giardino di casa! Si era diffusa la voce che stavo facendo ripartire l'attività, quando il mio piano era semplicemente di restare un mese per aiutarle a modernizzare i loro progetti. Così ho iniziato con 5 ricamatrici per vedere come lavoravano e come avrebbero interpretato i miei disegni.



D: Da dove viene la tua passione per il Ruanda?
R: Non ho una particolare passione per il Ruanda. Sono appassionata delle culture straniere in generale. Vivere all’estero è la mia vera passione. Ho vissuto in Germania e in Costa Rica per molti anni prima di trasferirmi in Ruanda. I miei incontri e le strade mi hanno portato qui, ma ammetto di amare questo Paese. 



D: Com'è lavorare con queste donne incredibili, che hanno visto e sopportato così tanto?
R: Non parliamo del passato e queste donne guardano al futuro. So che ognuna di loro ha una storia difficile, profondamente influenzata dal genocidio, ma cerchiamo di mescolare le generazioni nell'atelier, per alleviare il segno che la guerra ha lasciato. Sono coraggiose. Ammiro il coraggio e l'energia che portano, nonostante la loro storia e le difficoltà che ancora oggi rimangono. Hanno anche paura di prendere decisioni per il loro business (hanno creato una cooperativa) e penso che ciò sia dovuto a quello che è successo. Mi ci sono voluti anni per convincerle a organizzare il loro lavoro programmando le settimane. Hanno vissuto giorno per giorno, e credo che abbia a che fare con la consapevolezza che le cose possono cambiare da un giorno all'altro, come è accaduto nell'aprile 1994.

D: Cosa hai imparato da loro?
R: Pazienza e relativizzazione. Ho commesso l'errore, come tanti altri, di arrivare con lo spirito di un conquistatore, pensando di avere più conoscenze. Ma non è così. Impariamo le une dalle altre e questa è la bellezza di questo progetto.



R: Cos'è per te l'Empowerment femminile?
D: Empowerment è una parola che ho scoperto e che ho iniziato a utilizzare dopo aver avviato l'atelier. Crediamo che dare autonomia finanziaria alle donne dia loro una voce. Adesso hanno più scelta. Ad esempio, nel villaggio, se una donna del laboratorio viene chiesta in matrimonio, può rifiutare se lo desidera, perché ha un reddito per essere indipendente. Quindi per me l'empowerment riguarda principalmente la possibilità di scegliere. Essere delle imprenditrici è difficile, ma ci arriveremo a poco a poco! Ora sono già responsabili della loro cooperativa e questo è un grande passo.



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