Se vi dico Congo che cosa vi viene in mente? Non pensateci troppo.
Il Coltan? La malnutrizione? Sorrisi e colori sgargianti? La povertà? Le taniche di acqua portate sulla testa? Vestiti ultra colorati? Tamburi e danze? Che cosa vi attraversa la mente?

Io dopo aver visto il documentario FAIRE-PART, quando penso al Congo penso all'attivismo anzi all' artivismo. Ora vi dico il perché.

Anne Reijniers, Rob Jacobs, Nizar Saleh, e Paul Shemisi nel 2018 hanno lanciato questo documentario incredibile. Anne Reijniers e Rob Jacobs vengono dal Belgio, mentre Nizar Saleh, e Paul Shemis sono originari dal Congo. I primi due registi vengono dal paese che per 52 anni ha colonizzato il secondo (Il giorno dell’indipendenza del Congo è il 30 giugno 1960).

Insomma, questi 4 personaggi si sono uniti, e hanno deciso di parlare dell'attivismo presente a Kinshasa, la capitale del Congo, ai giorni nostri. Ma che tipo di attivismo? Un attivismo decoloniale. Un attivismo che parla di ingiustizie sociali, di artisti che attraverso l'arte parlano di politica tra le strade di Kinshasa. In che modo?

Nel documentario incontriamo una donna che attraverso uno spettacolo teatrale parla di violenza machista nei villaggi, uno shamano con un vestito fatto di preservativi che parla di prevenzione e di educazione sessuale, un uomo che lava le bandiere dei paesi che hanno colonizzato l'Africa per poi correre vittorioso con la bandiera del Congo, come a dire " adesso siamo noi la nostra bandiera".

Troviamo anche due dei registi, davanti alla statua di Patrice Émery Lumumba, (il primo ministro eletto democraticamente in Congo che ha governato tra il giugno e il settembre del 1960) mentre recitano frammenti letterali anticoloniali. Troviamo molto altro ma non posso fare un mega spoiler, sorry!

Il documentario ci fa viaggiare in una narrativa nuova legata all'Africa. Ci fa conoscere l'attivismo africano, ci fa immergere nell'artivismo. L'attivismo che abbraccia l'arte e viceversa.

I 4 registi ci raccontano una storia insieme, a 4 mani, a 4 occhi, a 4 prospettive. Hanno visioni diverse su come raccontare la storia ed uno dei motivi è che vengono da due luoghi che hanno avuto ruoli completamente opposti nella storia, ma trovano un compromesso artistico per me fantastico.

Questo documentario propone un viaggio da intraprendere subito, per cambiare la narrativa comune sull'Africa, per abbandonare il paternalismo e per sposare l'attivismo de-coloniale. In altre parole, questo documentario ci parla di un'Africa attivista che va riconosciuta e fatta conoscere.