Spero che questa storia vi abbia fatto sentire in qualche modo meglio”, così Sara Poma conclude l’ultima puntata del suo podcast Carla - Una ragazza del Novecento.

D’altronde è sempre stato questo il potere delle narrazioni: la magia taumaturgica di parlarci di noi attraverso le vicende altrui, mostrando mondi possibili dove le nostre esperienze si specchiano, trovano corrispondenze e divergenze.

Ma di che storia stiamo parlando? E chi è Carla? Come recita il titolo del podcast, Carla Bruni, questo il suo cognome, è una ragazza del Novecento, nata nel 1923 a Broni, nell’Oltrepò Pavese, che a partire dal 1991 ha deciso di raccontare in un quaderno la storia della sua vita. Ma soprattutto è la nonna di Poma, che ha trasformato le sue memorie in un podcast, in cui l’esperienza individuale di Carla si intreccia con la storia d’Italia.

Un lavoro estremamente curato, che si sviluppa in otto puntate strutturate sempre nello stesso ordine. Nella prima parte seguiamo il racconto di Sara Poma, inframmezzato dalla voce di Livia Bonetti, attrice dal timbro d’altri tempi a cui è affidata l’interpretazione di alcuni brani del diario di Carla. Nella seconda parte, invece, Poma raccoglie le testimonianze di storici della seconda guerra mondiale, esperti in studi di genere, psicologi, giornalisti musicali, che illuminano le vicissitudini di Carla collegandole alla macro-storia. Il tutto è accompagnato da una colonna sonora originale, composta dai Berlinist, a confermare la professionalità e la cura che hanno sostenuto questo progetto.

La scommessa di Sara Poma, possiamo dirlo senza dubbi, è riuscita, perché unisce alla qualità del racconto (che non appartiene solo a Poma, ma anche alla stessa Carla, che ha una penna puntuale, secca, ironica e al contempo evocativa) una narrazione che travalica il personale nel momento in cui svela una valenza storica, sociologica e di costume.

Carla, recita l’intro, “ha attraversato una guerra vera e una personale, ma non ha mai smesso di guardare al futuro piena di un’incrollabile speranza”. La storia di Carla contiene altre mille storie, che credo abbiano plasmato la realtà come la conosciamo oggi”. Queste poche parole mi sembra racchiudano perfettamente tutto il senso del podcast: l’esperienza di Carla per un verso riflette il mondo che ci siamo immaginati un po’ tutti, partendo dai libri di storia, dai romanzi e dai film. Per un altro verso, invece, Carla porta tutta la carica che solo una vita, nella sua personalissima esclusività, può dare.

È difficile raccontare Carla - Una ragazza del Novecento, perché il piacere principale di una storia risiede sempre nella scoperta. Adesso parliamo di spoiler, ma sono sicura che, da qualche parte nella penisola ellenica, più di duemila anni fa ci sia stata una scazzottata perché qualcuno aveva rivelato il contenuto di un’esibizione di un rapsodo un attimo prima dell’inizio.

Quello che posso dire sapendo con sicurezza di non rovinare l’ascolto, riguarda il messaggio che Carla vuole trasmettere attraverso il suo diario. Un messaggio che scopriamo a poco a poco, formato dal mosaico di una serie di scelte tese sempre verso una grande libertà. Dove “libertà” non significa necessariamente “felicità”, quando aderenza completa al proprio “io”.

Carla è una donna tenace, orgogliosa, che si trova più volte in condizioni di indigenza e non per colpa sua: ora c’è la guerra, ora un marito che perde tutti i soldi al gioco (ma è molto amato e ha persino vinto il premio per il “Più bel sorriso d’Italia” del settimanale Tempo), ora una figlia da mantenere, ora dei genitori da aiutare. Nonostante le emergenze continue che costellano la sua vita, Carla non ha mai un attimo di esitazione: attribuisce la sua forza d’animo all’oroscopo, alla costellazione dell’Ariete, ma dare tutto il merito alle stelle significherebbe farle un torto. Quella che di puntata in puntata l’ascoltatore impara a conoscere, empatizzando per lei, soffrendo con lei, è una donna che, come tutta la sua generazione, è costretta a crescere prima del tempo, con un carattere indipendente in una società che la vorrebbe accondiscendente e sottomessa. Carla non è una partigiana, non è una sovversiva, non partecipa ai movimenti degli anni Sessanta, e negli anni Settanta è già nonna due volte, eppure la sua voce ha un’inclinazione ribelle. Gioca secondo le regole ma le devia laddove queste non le permettono di essere coerente con se stessa, aderente all’immagine che ha di sé. Come dicevo, quella di Carla non è felicità (per quanto la sua storia tribolata abbia negli ultimi decenni un lieto fine e, dalla sua vita, traspaiano sprazzi di gioia) ma una serenità solida, che deriva dall’assenza di compromessi e dalla capacità di contrastare - riuscendoci - una società patriarcale, classista, fondata su gerarchie irremovibili.

Poma ha deciso di sviluppare l’aspetto più privato della vita di Carla facendolo dialogare con il Novecento italiano. In ogni puntata viene sviluppato un tema, anche in accordo con il momento storico o la fase della vita che Carla sta vivendo. Si passa quindi dalla Resistenza partigiana nell’Oltrepò pavese, alla condizione femminile, alle dinamiche di potere e gerarchiche nel lavoro (Carla diventerà infermiera), alla musica che si ascolta in Italia negli anni in cui Carla, ormai donna emancipata, frequenta il bar Europa di Pavia con le sue amiche.

E questa emancipazione – che è di Carla ma anche di tante donne che, con lei, hanno messo inconsapevolmente le basi per tante lotte degli anni successivi – non è così scontata nemmeno oggi. Se alcune vicende ci possono sembrare assurde (le condizioni lavorative delle infermiere, per esempio, o un vicino di casa che la voleva in sposa come saldo di un debito), altre ci suonano stranamente familiari, una nota che sembra quasi discordante nell’ordine che il passato dovrebbe assumere quando si fa storia.

Se deciderete di ascoltare la storia di Carla (e, credetemi, non ve ne pentirete perché è coinvolgente come un romanzo a puntate) ricordatevi una cosa: la dice Sara Poma all’inizio, ma andando avanti si tende a dimenticarla. Quando sentiamo le parole di Carla direttamente dal suo diario, godiamo della sua proprietà di linguaggio, della sua sottile ironia, dobbiamo pensare a una donna con la quinta elementare, che non ha avuto occasione di studiare e ha sempre lavorato per garantire un futuro a se stessa e alle persone che amava, ma, nonostante questo, riesce a raccontarsi con limpidezza e sa trovare sempre le parole giuste.