Le cose che ci portiamo via dagli eventi di Global Inclusion 2019.

#1 Che senza inclusione c’è esclusione. Non c’è via di mezzo.
Se non si include qualcuno lo si lascia, con più o meno eleganza, fuori. E non includendo, ci si ritrova a propria volta fuori da qualcosa. É così che ha iniziato il suo intervento Monsignor Matteo Maria Zuppi. L’includere è diverso dal fare proprio perchè il processo di inclusione è generativo; nasce qualcosa di diverso che prima non esisteva. É qualcosa di attivo che richiede intelligenza, pazienza, capacità attenzione e pensarsi insieme all’altro. Inoltre l’inclusione apre all’universale, a una dimensione e a una prospettiva più grande. Ed è questa, secondo lui e secondo noi, l’unica via del futuro.

#2 Che “l’autismo non è un errore di sistema, è un altro sistema operativo"
Abbiamo conosciuto Alberto Balestrazzi, AD di Auticon, una società internazionale di consulenza nel settore IT, che assume come consulenti informatici solamente persone nello spettro dell’autismo. Ci ha raccontato di aver imparato il valore della diversità quando, dopo una vita passata a fare il manager, ha deciso di ritirarsi in campagna per coltivare frutti antichi. È li che si è interrogato sul perchè la diversità non potesse essere valorizzata anche nel campo delle risorse umane, come fattore di ricchezza nel mondo aziendale. E così ha fondato Auticon che valorizza la diversità di sviluppo neurologico delle persone autistiche. L’autismo non è un disturbo, non è una malattia, ma un modo diverso di percepire, agire e vivere nel mondo in cui viviamo. É una neuro-diversità. L’autismo è quindi una caratteristica paragonabile all’etnia, al sesso e all’orientamento sessuale. La mission di Auticon è dimostrare che i talenti delle persone autistiche possono dare un contributo con la loro diversità nel mondo dell’informatica, in continua ricerca di skills e talenti.  Ad esempio le persone autistiche hanno una visione diversa delle cose. Mentre le persone neurotipiche prima comprendono un argomento nella sua interezza e solo in seguito registrano i singoli dettagli, molte persone autistiche invece, percepiscono inizialmente la struttura sulla base di informazioni di dettaglio e la integrano gradualmente in un concetto di livello superiore. Queste diverse prospettive su uno stesso concetto offrono grandi opportunità per ulteriori approfondimenti e sono preziose in un lavoro comune. Per rendere al meglio la loro diversità, i dipendenti vengono affiancati da psicologi e job coach che li aiutano a minimizzare le loro difficoltà che nella maggior parte dei casi riguardano l’ambito relazionale.
In tal modo non vengono sfruttate le loro capacità ma vengono messe al servizio dei clienti in modo inclusivo, affinchè le aziende trasformino se stesse e la società nel suo complesso. Non ci resta che sperare, come diceva l’AD Balestrazzi, che Auticon non esista più, tra 20 anni.
PS: anche il Wall Street Journal e Wired sono d’accordo.

#3 Che ci vuole cultura e che il cambiamento costa fatica
L’inclusione non è facile, richiede impegno, intelligenza e fatica. La politica inclusiva impone un cambiamento di approccio e pensiero, di cultura. Tiziana Primori – AD FICO Italy Word (tipa giustissima #1) – raccontava di come consentire pieno accesso a FICO ai disabili, abbia richiesto un ripensamento di approccio, imposto dal cambiamento prima ancora di iniziare a realizzare qualcosa. Questo può avvenire ed essere efficace solo se riusciamo a realizzare un cambiamento culturale e a convincerci che conviene arricchirsi delle esperienze e dei punti di vista altrui. Non è sufficiente proteggere o segmentare una diversità ma occorre andare più in profondità e l'inclusione può avvenire solo attraverso un cambio culturale. E noi siamo qui per questo. 

#4 Che tra un ferro da stiro e un bracciale possiamo non scegliere
Il cambio culturale passa anche dai brand e dal modo in cui comunicano con i consumatori, cioè con me e con te. Questo vale in particolare per i cosiddetti Power Brand che hanno soldi, voce e potere nel mercato e quindi responsabilità nel veicolare dei messaggi inclusivi e in grado di influenzare la cultura popolare. Cristina Lazzati (tipa giustissima #2) chiedeva provocatoriamente perchè non diventano anche Empowering Brand? Perchè non aiutano le persone a diventare padroni dei loro sogni? Sull’inclusione femminile o LGBTQI, ad esempio. Quante campagne pubblicitarie ci ripropongono un immaginario femminile patriarcale in cui la donna esiste in relazione a un uomo o ricopre ruoli sociali stereotipati, così veicolando un messaggio di esclusione e marginalità. Davvero, dobbiamo sentirci chiedere se ci renderebbe più felice ricevere un ferro da stiro, un grembiule, un pigiama o un bracciale? ( si, anche a noi quello che farebbe felice è dare un pugno sul naso a chi ha pensato questa pubblicità). E sentirci dire ama il tuo prossimo come te stesso, basta che sia figo e dell’altro sesso? E accettare che alle nostre figlie venga proposto l’aspirapolvere Folletto Worwerk come amico (ad esempio)? La bella notizia è che ci sono dei marchi che la pensano diversamente e che agiscono diversamente.  Che prendono posizione e che pagano per farlo. E allora è giusto che anche noi consumatori prendiamo una posizione che scegliamo qualcuno che la pensa come noi. Dobbiamo essere più coraggiosi. Se volete farvi un piantino guardate questa.

#5 Che Non é Roba per Donne (NERD)
Torniamo al Tech. E allo stereotipo di genere che esiste nel settore. Floriana Ferrara (tipa giustissima#3) è Master Inventor IBM. Un po’ come MasterChef, solo che lei fa ricette pazzesche per il mondo della tecnologia. Ha lottato per affermarsi nel mondo tech, inizialmente assecondando lo stereotipo della donna maschiaccio, con i capelli legati e giocando a calcetto con i colleghi. Poi ha sfatato la regola che la bravura di una donna nell’informatica è inversamente proporzionale all’altezza dei suoi tacchi. E ora è presidente di Fondazione IBM e lavora su progetti di informatica per migliorare la qualità della vita degli esseri umani. Il nostro preferito è NERD, un progetto che coinvolge le scuole di programmazione e le ragazze delle scuole medie. Volontari IBM fanno dei brevi corsi di avvicinamento all’informatica per giovani ragazze e gli fanno assaggiare l’informatica. I volontari IBM mettono passione e competenze; le ragazze li aiutano a dimostrare che l’informatica è roba per donne!