Modelli narrativi: Paradigma di potere, parità e protagonismo.

Nel 1979 i miei genitori si sposano. Di bianco è vestita la sposa e di bianco è vestito lo sposo. Negli anni ’90, cioè da quando ne ho memoria, il loro matrimonio era già diventato una narrazione mitologica. Sui preparativi "sportivi", sulla celebrazione tragicomica, sul viaggio di nozze e soprattutto sui retroscena (chi c’era, chi non c’era, chi avrebbe voluto/dovuto esserci).

Di questo episodio celebrativo che, come ogni epica che si rispetti, si trasmette per via orale in un numero pericolosamente vicino a +infinito di occasioni, la mia immagine preferita è sempre stata quella dello sposo in bianco. Davanti allo stupore delle persone “Ma come tuo padre era vestito in bianco?” ho sempre provato orgoglio e soddisfazione “Sì, era bellissimo”.

Fino a ieri pensavo che tale compiacimento fosse dovuto perlopiù al piacere di essere l’unica a comprendere a fondo quella scelta, a nascondere un segreto familiare intimissimo e inaccessibile che, ovviamente, anche io sconoscevo del tutto. Poi due suggestioni mi hanno fatto cambiare idea:

1. quando Elena mi ha confessato, durante gli estenuanti preparativi del suo matrimonio, di detestare l’ossessione degli invitati nei confronti della sposa. È la sposa che deve essere bellissima, avere un abito bellissimo, un trucco bellissimo etc. Mentre nessuno avrebbe mai prestato attenzione al taglio di capelli dello sposo o alle sue scarpe o comunque, anche quando, non gli avrebbe mai detto “tesoro, stai davvero bene con la barba tagliata così”.

2. quando ho sentito Francesco Pacifico, scrittore dotato del bollino Murgia “quest’uomo non è sessista”, affermare in un episodio del podcast “Morgana” che gli uomini possono essere costretti nel loro ruolo, mentre, le donne quando realizzano di non poter determinare il proprio futuro, si ribellano, spesso determinando finali inaspettati, se non tragici. Questa attitudine sarebbe dettata dal fatto che gli uomini rappresentano, non solo nel confronto con le donne ma anche al loro interno, la norma. Per loro seguire regole e consuetudini è più facile, più scontato, più accettabile (forse, aggiungerei io e aggiungerebbe la Murgia, perché quel sistema normativo se le sono creati loro stessi. Ma non vorrei banalizzare il discorso). Per dimostrare questa considerazione, Pacifico cita un comico americano, Jerry Seinfeld, che in uno dei suoi sketch più famosi sostiene che lo sposo sia vestito come tutti gli altri perché, se lo sposo manca, si può sostituire. (N.B. la battuta è un filo machista ma davvero divertente).

Conclusione

L’immagine dello sposo in bianco ci piace perché parla di parità. Significa, per noi, che entrambi, allo stesso modo, in quel preciso momento, erano felici e consapevoli.

È una narrazione dove i soggetti non seguono copioni pre assegnati. Non è un’epica dei fatti, tendenzialmente maschile e predominante nella scena holliwoodyana, né un’epica della relazione, tendenzialmente femminile e trascurata, soprattutto al cinema. Gli sposi in bianco propongono un'epica composta sia di fatti che di relazioni capace di superare gli stereotipi in entrambi i sensi. Il maschile, condividendo il ruolo da protagonista, sancisce la condivisione nell'azione e di riflesso acquisisce i connotati di circolarità e complessità che caratterizzano i personaggi femminili.

È una narrazione diversa dove non trova spazio l’asimmetria di potere, perché non c’è né un normale, che può essere sostituito, né uno straordinario, il cui momento più importante della vita è il matrimonio. Ma solo due innamorati, bellissimi.

Rating Promise allo sposo in bianco: 8, il kite surf.
Non è per tutti, ma è bello anche solo da guardare.

Rating Promise alla sposa in bianco: 8, il tennis.
É per tutti, ma qualcuna da guardare è più bella di altre.