She’s gotta have it è stato un film svolta per me. Non è proprio il film di Spike Lee più famoso, ma è quello che mi sento di consigliare per una presa di consapevolezza importante: noi donne ci dobbiamo prendere tutta la libertà che ci spetta di diritto. Ammetto che in diverse occasioni mi è capitato di pensare “cavolo, quanto vorrei essere un uomo per…” e poi vergognarmene. Ma perché? Sono una donna, per quale ragione dovrei essere un uomo per fare qualsivoglia cosa. Devo chiedere il permesso per prendere lo spazio che voglio e che ho il diritto ad occupare? Nola Darling ci invita a fare proprio questo, a non chiedere "scusa posso". Occupa tutto lo spazio che vuoi, comportati da uomo se così ti aggrada, vivi liberamente la tua sessualità.

Dal film del 1986, nel 2017 Spike Lee ne ha fatto una serie televisiva, ed anche questa volta Netflix ci vede lungo e ci mette a disposizione due stagioni.

La trama della serie è più o meno la stessa del film: Nola Darling è un’artista afroamericana, afferma sé stessa e la propria libertà nel suo lavoro e nelle sue relazioni in maniera anticonvenzionale. Non si vuole impegnare in una relazione amorosa non per paura, ma perché vuole trarre beneficio dal buono che più persone possono darle. Nel suo caso tre. Tre uomini che tuttavia, ognuno a modo suo, vogliono definirla, inquadrarla, in qualche farla loro, non capendo il suo spirito. Infatti Nola cerca di vivere al di fuori delle convenzioni imposte dalla società, godendo appieno della propria genuinità artistica e decostruendo qualsiasi stereotipo, libera dalla norma sociale mainstreaming riguardo a come le donne dovrebbero vivere la propria vita e la propria sessualità.

Si tratta di un film davvero Promise, anche per la potenza evocativa dell’arte di Nola ad aggiungere fulgore alla sua lotta femminista. E quindi… un, due e tre, stella! Si parte con il toto elementi Promise:

#1 Sex is empowering

Nola è avida e aperta ai suoi desideri, vive la propria sessualità con vivacità, senza creare legami, ma prendendo quello che la fa stare bene. Esattamente come fanno gli uomini. Vive la desiderabilità del femminile in chiave attiva, non come mero oggetto del male gaze.

#2 Le relazioni con gli uomini

Nessun rapporto con gli amanti e mai tossico o di dipendenza. I termini sono ben definiti, nel rispetto delle parti coinvolte. Non hanno una funzione salvifica da principe azzurro e nemmeno aiutano Nola ad essere quella che è. Ci pensa lei da sola e tante care cose.

#3 Sisterhood

Nella serie Netflix è un’evoluzione rispetto al film. Le altre donne, siano esse amiche o membri della famiglia, non sono in competizione fra loro. C’è supporto, c’è ascolto. Non chiedono nulla in cambio, creando aspettative di dare ed avere, come capita spesso nelle relazioni sentimentali.

#4 L’arte che guarisce

Nola viene aggredita per strada e grazie all’arte riesce a metabolizzare e superare il trauma. Urla alla società come il sessismo delle parole faccia a pezzi l’autostima delle donne, togliendole il loro potere e la loro autodeterminazione. Con la campagna street-art My name isn’t riesce ad utilizzare quelle stesse parole per riprendere quel potere e affermare il suo essere donna libera. Non solo, sarà sempre attraverso il percorso artistico che mostrerà la sua identità e la sua esperienza come donna e come afroamericana.

Certo tra il film e la serie passano circa vent’anni, ma sembra che stiamo sempre lì, a farci le solite domandone. Quale donna si comporta come un uomo? Si domanda uno dei personaggi maschili della serie. Perché non ti fai un pacchetto di cavoli tuoi? Si dice a Roma. La lotta è sempre quella: ci mettono dei confini, ci prendono il nostro spazio, ci rifilano delle etichette, provano a metterci al nostro posto, ma noi continueremo a vivere la nostra verità.


Per concludere, il Soundtrack della serie dà la carica giusta per combattere il patriarcato. O per fare jogging, dipende dai momenti della giornata.